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La Sapienza per FAITA-Federcamping: ecco tutti i numeri del settore del turismo all’aria aperta

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In occasione del webinar organizzato da FAITA-Federcamping la scorsa settimana, Marco Brogna, Docente a La Sapienza e Presidente del corso di laurea magistrale in Turismo (nella foto qui sopra), ha curato l’analisi dei dati ufficiali del settore nel periodo pre-Covid. Secondo l’Osservatorio Mondiale del Turismo, lo scenario di partenza vedeva, nel 2017, 122,3 milioni di arrivi turistici, con una crescita del 6,8% rispetto all’anno precedente. Secondo l’Eurostat 2019, l’Italia è il terzo paese europeo per presenze in area Schengen, dietro Spagna e Francia e prima della Germania. Per presenze internazionali il nostro paese si è posizionato al secondo posto, dopo la Spagna.

Il WTTC afferma invece che nel 2018 il turismo valeva il 6% del PIL (per un totale di 99 miliardi di euro), ma aggiungendo l’indotto si arriva al 13,2%. In questo contesto, l’industria pesa per il 20%, mentre l’agricoltura si ferma al 2,1%. Bisogna quindi dare al turismo il peso che merita. Nello stesso anno, il saldo della bilancia turistica dei pagamenti è stato positivo per 14.598 milioni di euro, con un 5,7% di aumento rispetto all’anno prima e un trend costante (dati Banca d’Italia). Il turismo è quindi il vero motore dell’economia italiana.

Perché quindi gli alberghi chiudono e molti imprenditori fanno fatica anche negli anni di successo turistico? La risposta è che ci sono enormi squilibri territoriali, settoriali e sub-settoriali, con grandi divari di performance tra regioni e comparti. Le differenze territoriali in parte ricalcano la classica divisione nord-est, nord-ovest e centro-sud.

In questo quadro, il comparto all’aria aperta, secondo Eurostat, nel 2018 valeva circa 40 milioni di presenze, con tendenza alla crescita. Nel 2019 il settore ha fatturato 5 miliardi euro, con una previsione di crescita per il 2020 del 5%. L’ISTAT mostra come nel tempo crescano molto le presenze turistiche, ma anche come quelle italiane siano in discesa, tanto da calare al di sotto di quelle straniere a partire dal 2016-2017.

All’interno del contenitore turismo, nel 2018 l’open air ha pesato molto meno rispetto agli alberghi (7,9 per cento in termini di arrivi e 15,6 per cento in termini di presenze, contro – rispettivamente – il 75,5 e il 65,2%), ma ha costituito comunque il 44,8 per cento delle presenze di tutto il comparto extra-alberghiero.

Tra gli stranieri, le presenze sono soprattutto tedesche (49,3%), olandesi (17,9%) e svizzere (7,3%). “Secondo me non è un buon indicatore,” sottolinea Brogna. “Bisogna guardare con forza anche ad altri mercati”. La permanenza media è quella più elevata del settore turistico: 6,6 notti, contro le 2,9 per gli alberghi e le 4,8 per l’extra-alberghiero in generale. Brogna sottolinea però che non possiamo essere troppo ottimisti, perché a fermarsi di più sono turisti che provengono da paesi che “pesano” poco sugli arrivi complessivi.

In tutto questo, la permanenza media è però in calo: dal 2005 al 2018 è scesa da 6,7 a 6,5 notti. L’unica regione che ha migliorato questo dato è il Lazio (da 6,9 a 102 notti, mentre la peggior performance è stata registrata da Molise (passata da 14,9 a 8 notti) e Basilicata (da 13,1 a 6,5 notti). A soffrire meno di tutte è la Toscana, rimasta sostanzialmente stabile (da 6,9 a 6,6 notti). Nonostante i buoni risultati complessivi, il comparto prima del Covid era quindi in controtendenza, registrando cali in termini di arrivi, di presenze e di permanenza media.

Oggi l’atteggiamento del turista sta cambiando, e anche rapidamente. Deve variare quindi anche l’offerta, perché si è passati dalla vacanza motivazionale a quella esperienziale e poi a quella emozionale. Per rimanere competitivi bisogna seguire questo stesso percorso.

Un’ultima analisi il professor Brogna la riserva al periodo segnato dalla pandemia. Con il Covid il turismo ha perso mediamente il 40%, ma non in modo equo. Alberghi e città d’arte, per esempio, hanno sofferto molto più di altri. A oggi, il 20% delle licenze alberghiere è stato restituito e in generale i flussi di turisti stranieri si sono pressoché azzerati. Alcune regioni hanno resistito (come Toscana, Veneto e Puglia), altre hanno vissuto una crisi più marcata. Qualche sub-comparto è però andato molto bene, come l’open-air e gli agriturismo, che hanno contenute le perdite intorno al 20%. E questo è accaduto su tutto il territorio nazionale.

Il Covid ha fatto ciò che in tanti anni non era stato possibile: aumentare il numero degli italiani e allungare la permanenza media da 6,6 a oltre 8 notti. Insomma, il turismo open-air si è fatto trovare pronto, pur avendo ancora – secondo Brogna – un potenziale inespresso enorme, pari a circa il 50%. Il post pandemia è quindi una grande occasione di rilancio.

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