Le strutture open-air in Trentino sono un asset fondamentale dell’offerta turistica della provincia: il loro posizionamento è molto buono ma, soprattutto in relazione ai territori limitrofi, ci sono margini di miglioramento sui quali investire. È questo il messaggio che emerge dallo studio “L’offerta open-air in Trentino” promossa da FAITA Trentino, parte di Confcommercio Trentino, in collaborazione con Thrends Tourism & Hospitality Analytics e Mediocredito Trentino – Alto Adige.
“Abbiamo voluto metterci in discussione e ci siamo chiesti che cosa potessimo fare per i soci”, afferma Fabio Poletti, presidente di FAITA Trentino. “Abbiamo affidato l’incarico a un’azienda specializzata di fotografare il turismo open-air nella nostra provincia e confrontarlo con i nostri vicini, che hanno un’offerta simile. Lo studio mette in luce alcune criticità, ma anche molti lati positivi. Occorre essere sinceri, se vogliamo che questa fotografia sia uno stimolo alla nostra categoria. Su un aspetto abbiamo già pronta una serie di interventi legati alla formazione perché riteniamo che rappresenti un valore fondamentale nell’erogazione dei nostri servizi”.
Lo studio ha dunque fotografato la situazione del turismo open-air in Trentino, mettendo in luce in particolare l’attrattiva dell’offerta in relazione alle nuove esigenze dei turisti conseguenti alla pandemia: natura, spazi aperti, servizi di qualità, sicurezza. Tutti aspetti che il turismo open-air può offrire ai propri clienti.
“Lo studio evidenzia alcuni punti centrali: il principale è che il nostro settore è dinamico e in crescita, e si sta posizionando sul mercato in modo nuovo e diverso rispetto alla percezione comune, intercettando anche nuove fasce di clienti”, sottolinea il presidente nazionale di FAITA-FederCamping, Alberto Granzotto. “Merito a FAITA Trentino per aver condotto questa indagine: uno strumento che replicheremo anche a livello nazionale nei prossimi mesi”.
Non alberghiero: il settore più resiliente
Lo studio offre anche un ampio quadro delle conseguenze sul turismo della pandemia da Covid-19, evidenziando come quello open-air, quindi anche legato ai campeggi, abbia affrontato bene la crisi, soprattutto se paragonato al settore alberghiero.
Nel corso del decennio che ha preceduto il Covid-19 la domanda internazionale per l’Italia segnava un trend di crescita molto solido, tant’è che la composizione del mercato è passata da una maggioranza nazionale a una prevalentemente internazionale (51%). Nel 2019 il nostro paese ha segnato il record di 437 milioni di presenze nelle strutture ricettive ufficialmente tracciate, per un totale di oltre 500 milioni di presenze.
Nel 2020 questo volume si è ridotto del 52 per cento. Il calo della domanda nazionale è stato molto più limitato (-34%) rispetto a quello internazionale (-70%) per ovvie ragioni legate alla mobilità fra stati. I dati si fermano all’anno scorso, in quanto, al momento della redazione del dossier, quelli 2021 non erano ancora disponibili, specialmente in forma disaggregata, utili per le analisi e i confronti presentati.
Nel contesto di un calo 2020 generalizzato e molto consistente, le forme ricettive più resilienti sono state quelle non alberghiere. C’è stata, quindi, una migliore tenuta del segmento nazionale per l’extra-alberghiero, che si compone di presenze prevalentemente nel residenziale turistico (professionale), nei campeggi e camping village. La ricerca stima, in assenza di dati consuntivi, che il 2021 per l’extralberghiero Italia registri (estate vs estate) un calo limitato fra il 10 e il 18 per cento sui volumi 2018, una riduzione meno drastica del 2020 e legata soprattutto ai bassi volumi di giugno.
Entrando nel merito dei campeggi italiani, la ricerca mostra come tra il 2015 e il 2019 la crescita delle presenze sia cresciuta, soprattutto sul fronte dei turisti stranieri (+11,1%) rispetto a quelli nazionali (+3,1%). Nel 2020 c’è stata la battuta d’arresto dovuta alla fase più acuta dell’epidemia da Covid-19: un calo del 63% del mercato estero e del 25% di quello italiano.
Camping: le migliori performance
Se si paragona l’andamento delle presenze nelle stagioni 2019 e 2020 nel segmento camping, rispetto all’alberghiero, si vede che il calo è stato meno marcato per i campeggi. Per quanto riguarda i turisti italiani si parla di un 25% contro un 39 per cento. Molto ridimensionato (-63%) il mercato estero a quota 12 milioni, quando solo nel 2019 valeva 33 milioni, ovvero quasi il 50% del totale delle presenze nei camping italiani.
È interessante notare come siano le categorie extra-alberghiere, ovvero agriturismo e campeggi ad aumentare la loro quota sulle presenze totali italiane nel 2020. I camping che, tra il 2015 e il 2019, avevano una quota media 15,8%, sono passati nel 2020 al 18 per cento. Sicuramente elementi come la diversificazione del prodotto, il connubio con la natura, i maggiori servizi di qualità, l’esplosione del wellness sono fattori che potranno portare a confermare questo peso del settore camping.
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