Con quasi ottomila strutture distribuite su tutto il territorio nazionale, 22 milioni di turisti accolti ogni anno e 2,5 miliardi di giro d’affari, la Francia è il paese leader in Europa nel settore del camping, e seconda al mondo dietro gli Stati Uniti. Insomma, l’industria turistica francese deve molto a questo comparto, che è sempre seguito con grande attenzione. Interessante, dunque, capire come sta attraversando il lungo periodo di difficoltà dovute alla pandemia.
Ne abbiamo parlato con Nicolas Dayot, dal 2017 presidente della FNHPA (Fédération Nationale de l’Hôtellerie de Plein Air), l’associazione professionale che rappresenta i gestori dei camping, con circa quattromila aderenti. L’organizzazione gli offre sostegno in campo giuridico-fiscale, li accompagna nello sviluppo dell’attività e nella formazione professionale, e ne è ovviamente portavoce di fronte alle istituzioni pubbliche. Un ruolo importante che, in questo contesto di crisi, è stato ancora più delicato.
Camping business: La FNHPA ha giocato senz’altro un ruolo fondamentale durante la pandemia: com’è cambiata la vostra azione? Quali sono state le vostre priorità?
Nicolas Dayot: Il carico di lavoro della Federazione, in questa crisi, non è cambiato molto rispetto al passato, ma c’è stata maggiore visibilità. Da marzo 2020, quando è stata decisa la prima chiusura del Paese, si è capito ancora meglio quanto sia importante avere una rappresentanza che parli al Governo e la cui voce sia ascoltata da chi prende le decisioni. Quanto agli obiettivi che ci siamo posti, è stato chiaro fin da subito che dovevamo lavorare per sostenere le imprese ed evitare che chiudessero. L’obiettivo era dunque quello di approcciarsi alla stagione estiva nelle migliori condizioni possibili: abbiamo negoziato con il Governo, per esempio, la riapertura delle piscine per il 2 giugno, che non era affatto scontata, ma che per noi era di vitale importanza. Un sondaggio ci aveva infatti indicato che il 60% dei turisti rinuncia ad andare in un camping se le piscine sono chiuse. La loro riapertura ha fatto esplodere le prenotazioni.
Altro obiettivo, centrato, è stato quello di trovare il giusto equilibrio tra sicurezza sanitaria ed efficienza economica. Così abbiamo collaborato con Governo e Istituto della Sanità per mettere a punto un protocollo sanitario che è risultato al contempo efficace e conveniente, nel senso che ci ha permesso di attivare tutti i nostri servizi: piscine, ristoranti, sale gioco, animazioni, pulizia degli alloggi.
Camping Business: Qual è stato, dunque, il bilancio della stagione 2020?
Nicolas Dayot: Possiamo dire che, anche se la stagione è stata contrastata, il nostro settore ha resistito meglio di altri dell’ambito turistico grazie a un luglio e agosto che sono stati a livelli prossimi alla normalità. La perdita di ricavi è stata pari a circa il 20%, che è tanto, ma comunque molto meno rispetto alla caduta registrata in altri settori del turismo. Per esempio, il numero di pernottamenti a luglio, agosto e settembre 2020 è sceso del 15% rispetto al 2019, mentre negli hotel il calo nello stesso periodo è stato del 34%. Si è registrato soprattutto un turismo domestico, con una diminuzione contenuta di presenze francesi (-4,6%) rispetto al 2019, mentre la riduzione degli stranieri è stata più pesante (-42%), ma comunque minore rispetto a quella registrata negli hotel (-72%). Tutto questo ha dimostrato la solidità del nostro settore.
Camping Business: Vi aspettate adesso, con l’allentamento delle misure sanitarie e l’EU Digital COVID Certificate, un ritorno significativo dei turisti stranieri? Che previsioni avete per la stagione estiva 2021?
Nicolas Dayot: Sicuramente il turismo domestico resterà quest’anno ancora molto forte, ma quello di accogliere nuovamente gli stranieri è l’obiettivo che oggi ci poniamo. In questo senso, il pass sanitario darà certamente una mano al rilancio del turismo internazionale garantendo maggiore sicurezza. Temo comunque che mancheranno ancora i viaggiatori britannici, che per noi rappresentano la terza popolazione straniera come presenza nei camping francesi. Le prenotazioni sono in aumento, invece, per olandesi, tedeschi e belgi. Le previsioni sono quindi incoraggianti e la stagione estiva potrebbe attestarsi ai livelli del 2019, anche se tutto dipenderà ancora una volta dall’evoluzione della situazione sanitaria.
Camping Business: A proposito del protocollo sanitario, avete apportato delle modifiche, degli aggiornamenti a quanto già attuato?
Nicolas Dayot: Il protocollo sanitario per la stagione in corso è quasi lo stesso dell’anno scorso. Piccole modifiche hanno riguardato il distanziamento tra le persone e il funzionamento delle attività al chiuso, con una certa vigilanza attivata sulla qualità dell’aria negli ambienti chiusi (argomento che sarà più dibattuto in futuro). Il protocollo definito l’anno scorso ha ben funzionato: non ho cifre esatte, ma posso dire che su tutti i turisti accolti non abbiamo avuto nessun problema. Ci sono stati un ottimo lavoro dei gestori dei camping e una grande collaborazione da parte dell’amministrazione pubblica, quando si è dovuto intervenire per isolare o testare dei clienti con sospetto Covid. In breve, non si è registrato alcun focolaio di infezione nei camping.
Camping Business: In vista di una ripresa mondiale del turismo, come si stanno preparando i vostri aderenti? Sono propensi a fare degli investimenti o la situazione ancora incerta li frena?
Nicolas Dayot: Ci sono delle dinamiche di investimento già in atto. Molti si sono accorti della solidità del settore anche di fronte alla crisi e sono pronti a investire. Temevamo, per esempio, che i produttori di mobili e chalet avrebbero risentito della crisi per il calo della domanda dello scorso anno, ma così non è stato: gli ordini, anche se un po’ inferiori rispetto al passato, sono comunque arrivati. E per il 2022 sono già stati raccolti. Per altre strutture come le piscine, invece, è ancora troppo presto per fare un bilancio, ma penso che la tendenza sarà la stessa. In Francia, ogni anno, si investe circa il 20% del fatturato, e penso che anche quest’anno si potrebbe stare intorno al 18-20%. Ma c’è una nota dolente: la pressione mondiale sulle materie prime, come il legno, e sulla plastica sta facendo lievitare i costi. Abbiamo già segnali di aumenti del 5/10% che potrebbero avere un effetto negativo sulla decisione di investire.
Camping Business: Come giudica l’azione del Governo francese a sostegno del settore?
Nicolas Dayot: Siamo soddisfatti di quello che ha fatto il nostro Governo: è indubbiamente stato accanto alle imprese in difficoltà prevedendo tutta una serie di agevolazioni – dal fondo di solidarietà alla presa in carico della disoccupazione, fino alla sospensione delle tasse – che gli hanno permesso di non sparire. Certo, la contropartita è stata la grande crescita del debito pubblico, ma il Governo non si è tirato indietro. Penso che ci sia stata una presa di coscienza da parte della politica dell’importanza del nostro settore: un terzo del turismo europeo dei camping è in Francia, sarebbe una follia perdere questo vantaggio concorrenziale. Inoltre, abbiamo dimostrato ancora una volta la nostra solidità, come già in passato, quando nonostante attentati terroristici e gilet gialli abbiamo sempre gestito delle stagioni normali. Il Governo se n’è accorto e ha lavorato per sostenerci.
Camping Business: Che proposte avanzerebbe per dare una spinta ulteriore alla ripresa?
Nicolas Dayot: Quello che chiediamo è che l’azione messa in atto non si fermi, anche quando la crisi Covid finirà. Al contrario, bisogna accelerare, avere un vero e proprio “piano camping”, perché la concorrenza europea è forte. Non sempre la nostra offerta è all’altezza di quello che chiedono i turisti, quindi si può fare di più e meglio, soprattutto in certi territori. In Francia il nostro settore ha conosciuto un grandissimo sviluppo tra gli Anni ’60 e ’80, ma poi è iniziata una fase di regressione. Adesso occorre che il settore del camping sia al centro del piano di rilancio che è stato annunciato, per recuperare quello che non si è fatto negli ultimi trent’anni.
Non si chiede di creare nuovi camping, ma di ottimizzare quelli che ci sono, puntando sullo sviluppo sostenibile e sulla ricollocazione commerciale delle strutture che oggi rischiano di chiudere. Chiediamo, per esempio, di intervenire sui camping che si trovano in zone a rischio inondazione: noi abbiamo sempre sostenuto la necessità di adattarli alla gestione dell’inondazione, con soluzioni tecniche come l’installazione degli alloggi su palafitte, che potrebbero salvare questi camping dalla chiusura. Finora il Governo non ci aveva ascoltato, aveva altre priorità, ma ora il dialogo è avviato.
Ferruccio Alessandria – Associpiscine